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Una "tavolata" per riqualificare le città

La condivisione ha il nome del "social eating"

La cucina è il mio posto della casa preferito, fin da bambina.
Sono cresciuta in case diverse, sempre molto colorate e piene di persone. Amici nuovi e vecchi, culture diverse, cibi diversi.

La cucina di casa mia era sempre allegra e intorno al tavolo eravamo sempre “numerosi”. Fabio, un amico di mia madre, suonava sempre la chitarra durante le cene per farmi divertire, così, spesso si finiva a cantare tutti insieme o a ballare nel poco spazio tra i fornelli e il frigo. Mia madre, mentre cucinava, chiacchierava con tutti e metteva in contatto le persone tra loro, aggiungendo sedie improvvisate e sgabelli di fortuna per ogni persona in più. Poi c'era la sua amica Angeli, che faceva “le cene in casa con le mani”. Lei e il suo compagno Auro preparavano pietanze tradizionali indiane e le facevano assaggiare a tutti gli amici. Forse per tutti questi ricordi, ho un legame particolare con la cucina: sa di casa, di famiglia, di serenità. È; profumata, ghiotta, mette d'accordo tutti.

Scrittori e artisti, in epoche diverse, hanno descritto la cucina come il cuore del focolare e questa stanza è stata, probabilmente, quella più utilizzata in romanzi e film.

In antichità la cucina era il mezzo che univa tutti. Il cibo veniva offerto agli dei, si usava mettere in piazza banchetti e ricche quantità di alimenti e bevande, da consumare insieme.
Condividere il cibo è sempre stato “IL” modo di fare festa insieme. Ultimamente c'è un gran bisogno di far festa. C'è voglia di conoscersi, di parlarsi, di incontrarsi. C'è urgenza di relazioni umane, di sorridere e stare bene con gli altri.

Quale miglior soluzione aggregativa, collettiva, di scambio e relazione se non il “social eating?”
Mangiare tutti insieme: come una grande festa, in cui ognuno porta qualcosa e si trascorre del tempo con persone nuove.
Ma se non ci si fermasse solo a condividere il cibo e le bevande? Se invece le persone volessero condividere di più, ad esempio il loro quartiere? Magari riprendendosi le vie, le piazze… tornando a vivere insieme gli spazi urbani?

Ecco che diverse buone pratiche prendono vita, all'estero come in Italia. Ci sono tantissimi esempi di cene sociali, in quasi tutte le città italiane.

Da pochi giorni si è conclusa la cena di quartiere a Mestre, dove ogni anno partecipano più di 500 persone. Ognuno porta qualcosa da condividere, si balla, si canta - tutto in nome della libertà d'espressione e dell'estemporaneità - ci sono cittadini che suonano, intrattengono, si divertono. Ci si organizza con tavoli e sedie, l'amministrazione concede lo spazio, poi il gioco è fatto.

Gli obiettivi di questa cena annuale, che il 16 giugno si è svolta in via Dante, non sono soltanto aggregazione e spirito di condivisione: vivendo gli spazi pubblici e socializzando, si riqualifica la città. Così facendo si migliora la qualità della vita dei residenti e le strade assumono un altro aspetto, grazie ai cittadini più resilienti e alla partecipazione attiva.

In questi anni cene di quartiere, serate musicali improvvisate e incontri organizzati interamente dai cittadini attivi hanno migliorato la vivibilità di diversi luoghi, un tempo considerati degradati o “difficili”: dai giardini “dello spaccio” alle vie buie e poco controllate, le cene sociali hanno davvero cambiato le cose.

Un altro esempio si è tenuto da poco nel Parco Perelli di Varese. Parliamo di ConviVà: una cena di comunità alla sua prima edizione, che ha avuto da subito una partecipazione eccezionale. L'idea è semplice: alcuni cittadini portano tavoli e sedie in un luogo pubblico e tutti i partecipanti portano un piatto da condividere, insieme alla ricetta con cui è stato realizzato. Durante la social dinner anche balli, scambio di consigli culinari e chiacchiere tra amici vecchi e nuovi. L'iniziativa è stata realizzata coinvolgendo associazioni e commercianti del tessuto sociale circostante e portando un messaggio di accoglienza per tutte le culture. Alcuni degli organizzatori raccontano così il progetto: “Il filo conduttore è la condivisione. La condivisione del cibo porta fratellanza e accoglienza, la condivisione degli spazi porta sicurezza e presidio del territorio, la condivisione del tempo che porta umanità delle relazioni ed efficienza delle pratiche. Quasi in ogni civiltà antica la condivisione del cibo è un momento importantissimo che nasce dalla necessità di dividersi le prede e il raccolto, un gesto che insegna uguaglianza, moralità ed etica”.

Sulla scia dell'interculturalità e dello scambio reciproco si è conclusa lo scorso fine settimana anche la “Tavolata multietnica” di Milano, organizzata dall'associazione Kamba, con il Comune di Milano, nell'ambito del progetto “Insieme senza muri”.

Nella cornice del Parco Sempione, sede di diverse iniziative sul territorio milanese, la “Tavolata multietnica” ha preso vita con un pranzo.
10.000 persone hanno mangiato insieme, assaggiando piatti tradizionali di ogni parte del mondo. Milanesi, d'adozione o di nascita, hanno condiviso culture, cibo e spazi, all'insegna della multiculturalità.
Tra un cous cous e un risotto alla milanese i cittadini hanno dato uno “schiaffo morale” al razzismo. Durante la giornata canti, balli e musica hanno contribuito a creare un'atmosfera di festa.

Le cene sociali sono momenti di vero arricchimento spirituale e culturale. Con buon cibo, danze improvvisate e accompagnamenti musicali all'aria aperta, c'è sempre modo di confrontarsi, vivere gli spazi urbani e magari stringere qualche amicizia in più. Aggiugiamo un posto a tavola?

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