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L'architettura per il diritto alla città

Modelli di ar(t)chitettura e buone pratiche

In un epoca di architetture asettiche e standardizzate come la nostra, in cui ci troviamo a passeggiare fra palazzi che sembrano dei veri e propri manifesti alla società dei consumi, c'èancora chi resiste parlando di diritto alla città.
Un diritto poco noto e rivendicato, di cui non sentiamo parlare spesso e che consiste, secondo il suo ideatore, il filosofo e urbanista Henri Lefebvre in una "forma superiore dei diritti, come diritto alla libertà, all'individualizzazione nella socializzazione, all'habitat e all'abitare. Il diritto all'opera, all'attività partecipante e il diritto alla fruizione sono impliciti nel diritto alla città".

Riappropriarci dunque degli ambienti di vita quotidiana disegnandoli a nostra misura, e specialmente, a misura di forme di vita e socialità che esulino dal semplice scambio economico e mercantile.
Città, case e spazi a misura d'uomo in cui radunare il meglio del fare e del saper fare umano, creando così centri di condivisione di sapere e cultura.
Non si tratta di un'utopia architettonica ma di esempi reali di buone pratiche.
Come accade per esempio a Cinisello Balsamo, nel caso dell'Incubatore Sociale Cinifabrique.

"Risorto" dalle ceneri di un ex struttura scolastica abbandonata e messa a disposizione dal Comune, il progetto prende vita dall'azione di tre giovanissimi under 25.
Un luogo di socialità, dell'apprendere e del fare, di incontro e aggregazione tra diverse generazioni, dove il sapere diventa comunicazione e condivisione grazie alle attività offerte, quali laboratori, studio assistito, animazione per famiglie, rigenerazione e cura dell'ambiente circostante, ma anche workshop di piccola falegnameria, restauro e intaglio ligneo, sartoria e cucito, ceramica, pittura, mosaico, progettazione in 3D, fotografia, videomaking e giardinaggio, finalizzati alla trasmissione dei mestieri.

Fortunatamente, non ci troviamo di fronte ad una pratica virtuosa isolata: al di là dei confini italiani, in una situazione di emergenza umanitaria, é nata la Maidan Tent: una tenda-piazza, una tensostruttura di quasi 200 mq di superficie coperta, di forma circolare, perché inclusiva e priva di direzioni privilegiate.

Un'agorà ritrovata per i migranti del campo profughi greco di Ritsona.
Il progetto nato su impulso di giovani architetti italiani consiste in una tenda costruita nell'arco di due anni in qualità di spazio polifunzionale per il campo e delle attività collettive della piccola comunità.
Un piccolo centro per chi ha perso tutto e vive nell'eterna precarietà, in attesa di documenti, visti, e un futuro migliore.
Aspettando di ritornare alla vita normale in un' attesa che appare infinita, i profughi possono riprendere una piccola parvenza di normalità che pare un lontano ricordo.

Prima delle guerre, prima della violenza e della fame, quando vivevano vite comuni ed esercitavano mestieri simili a quelli che noi continuiamo ad esercitare in questa parte del mondo.
Panettieri, falegnami, professori, fabbri, artisti e medici che grazie alla nuova tensostruttura troveranno un luogo provvisorio di riunione e socialità, una vera e propia piazza, con le stesse funzioni e il medesimo utilizzo.
Un luogo prima di ogni altra cosa aggregativo, un vero centro, che ospita workshop finalizzati ad imparare nuovi mestieri da esercitare, si spera, in un futuro post guerra, ma anche un quartier generale di riunione per partite da giocare o guardare insieme, chiacchiere, spettacoli ideati e realizzati durante i laboratori e persino un mercato settimanale.
Esempi che ci ricordano che grazie ad una forma d'arte, come l'architettura, si può creare socialità trasmettendo saperi e dar vita a una comunità, praticando quella che Colin Ward chiamava "l'architettura del dissenso".

Il Festival delle Buone Pratiche
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